lunedì 27 maggio 2013

PERDONA E DIMENTICA




   Il femminicidio è una pratica antica, che  ha molto in comune con i tiranni che terrorizzano e reprimono i popoli, o di una razza che cerca la supremazia sulle altre. Il risultato è sempre lo stesso, ottenere con la paura e la violenza il controllo e una posizione di domini.
D'altronde è molto più facile ottenere un appagamento sessuale da una persona ridotta in schiavitù che da qualcuno a cui dobbiamo meritarci ogni giorno il suo consenso e rispetto. Nel mondo vi sono centinaia di milioni di donne che vivono in condizioni estreme di semi schiavitù o schiavitù vera e propria, ridotte al terrore e al silenzio non solo dai loro mariti ma addirittura dalle istituzioni che promuovono queste condizioni e le proteggono in nome delle tradizioni, tradizioni che proteggono da chi vuole distruggerle per sempre e che nella storia hanno rappresentato per secoli la "normalità".




   Il caso della sedicenne uccisa dal fidanzato diciasettenne stà venendo trattato come un caso di "disagio" giovanile. È infatti notizia di oggi che l'arcivescovo di Rossano-Cariati, Santo Marcianò, ha preso le difese del giovane omicida parlando del suo disagio famigliare appellandosi alla comprensione e al perdono. Il vaticano non è nuovo a queste richieste a favore dei carnefici, le vittime sono spesso dimenticate da chi professa il credo, è il criminale diventa protagonista di preghiere e solidarietà immotivate.

Emergono intanto nuovi dettagli sul caso della ragazzina uccisa, da indiscrezioni pare che la vittima fosse ancora viva dopo le 20 coltellate e abbia lottato, per ammissione dell'omicida, per strappare la tanica di benzina dalle mani del suo carnefice prima che gli venisse dato fuoco e arsa viva.

Per comprendere questa violenza bisogna conoscere lo scopo che spinge un uomo a compiere un atto così cruento. La punizione è un bisogno selettivo, mettere in pratica la propria autorità massima sulle proprie femmine è un atto di forza e che mette in guardia altre future schiave dei sui proposito, insomma come dire: "obbeditemi perché altrimenti...".
In una società moderna può apparire quasi folle ma in molte culture uccidere una donna "disubbidiente" è poco più che una tradizione.

Le parole dell'arcivescovo sono estratte proprio alla radice delle tradizioni dell'antico testamento: "E’ un  evento tragico che ci obbliga a riflettere e a porci il problema dell’educazione e dei valori e bisogna puntare su un umanesimo che vede l’uomo per quello che è, bisogna ripartire dall’uomo e metterlo al centro".
In una cultura regionale calabrese dove il termine "Uomo" non viene certamente associato in pari per le donne queste sue parole potrebbero essere state usate per trasmettere la vicinanza della chiesa cattolica agli uomini calabresi e all'omicida, perfettamente in linea con le tradizioni a volte integraliste di quelle terre.


Per quanto possano apparirci insani ed estremi certi gesti di violenza essi hanno un ruolo e un disegno ben preciso nella natura umana, un uomo che uccide una donna è come un tiranno che uccide 1000 ribelli per educarne 1000000. Questo tragico evento diffonderà paura nei cuori di migliaia di ragazze che vivono ogni giorno sotto minacce e violenze e che ora, dopo aver appreso questa notizia, avranno ancora più terrore nel disubbidire ai propri padroni.
   La richiesta di perdono dell'arcivescovo è un invito a non ribellarsi alla tradizione che pone la donna asservita all'uomo, e che la spiritualità cattolica sarà sempre vicina agli uomini e mai alle loro vittime.


A spiegare bene la cultura cattolica che regna in calabria e nei piccoli comuni è un articolo del fatto quotidiano nella sezione Donne di Fatto:
Femminicidio Corigliano, mamma 16enne uccisa: “Anche assassino povera vittima”

Uno spaccato dell'aretratezza culturale del nostro paese. Non sorprende più infatti apprendere che l'italia sia un paese che ha molte più affinità con i paesi terzomondisti come india, paesi arabi o est europa in forte contrasto con i progressi dell'europa occidentale di cui facciamo, almeno economicamente, parte.

Un paese non si misura sulla ricchezza del pil ma sul suo livello di civiltà raggiunto. Le ricchezze non possono comprare la dignità civile perché essa si guadagna con le nostre azioni, quelle di tutti i giorni, perché è la somma di ciò che facciamo a darci un'identità come nazione.